«La scultura più commovente che sia mai stata creata da un artista» (Henry Moore)
La Pietà Rondanini è una opera in marmo di Carrara che Michelangelo scolpì una prima volta fra il 1552 e il 1553 per poi rilavorarla fra il 1555 ed il 1564, probabilmente fino a pochi giorni prima di morire, lasciandola incompleta.
Custodita fino al 2015 nel Museo del Castello Sforzesco di Milano, è stata quindi spostata e oggi è possibile ammirarla all’interno dell’antico Ospedale Spagnolo nel Cortile delle Armi del Castello, in una sala i cui spazi sono stati progettati dall’architetto Michele De Lucchi.
In occasione del Salone del Mobile 2025, quella che è considerata l’opera più iconica della scultura marmorea non solo rinascimentale ma probabilmente di tutti i tempi, è tornata in tutta la sua sorprendente attualità per essere protagonista della ‘pièce’ Mother di Bob Wilson (Texas, 1941), architetto e artista sperimentale statunitense considerato a livello mondiale come una autentica avanguardia visionaria e accreditato come ‘maestro della luce’ (cit. New York Times).
‘Mother’ è una installazione attraverso la quale Bob Wilson fa dialogare fra loro luce, musica e materia: sulle note dello ‘Stabat Mater’ dell’estone Arvo Pärt Wilson gioca, in una sequenza della durata di circa 30 minuti, con una luce archetipica e salvifica con l’intento di rappresentare il dramma e la straordinarietà della morte del Cristo, ponendo l’accento sul dolore, umano e universale allo stesso tempo, della Madre che sostiene il corpo del Figlio privo di vita.
Lo spettatore, immerso in un buio profondo e totalmente assorbito dalla visione dell’opera e dall’ascolto della musica, viene proiettato in una dimensione altra rispetto alla nostra abituale, in una esperienza che risulta totalizzante e che potremmo dire prossima al sublime.
Il sublime del non finito: all’origine Michelangelo, lavorando sulla forma del marmo di Carrara grezzo, purifica il blocco da ogni imperfezione e, pur non finito, lo consegna a noi come testimonianza del grande lavoro di catarsi che, nell’atto creativo, egli aveva operato su sé stesso.
Bob Wilson sulla composizione verticale della Pietà, già molto innovativa al tempo in cui Michelangelo la scolpì, opera attraverso la luce un ulteriore lavoro di cesellatura. Il focus resta quello a cui pensò originariamente Michelangelo: il rapporto fra madre e figlio. La luce aggiunge ora tensione emotiva a questa opera in marmo grezzo nella quale il corpo del figlio si fonde con quello della madre, uniti in un abbraccio tenero e dolente che racconta di un dolore ormai del tutto spiritualizzato.
Nell’installazione di Wilson, il sublime che la Pietà Rondanini evoca nello spettatore ci arriva dalla drammaticità narrativa che le luci pensate dall’artista texano e proiettate sulla scultura ricreano, enfatizzando quel senso di umanità che l’ha ispirata in origine. Non sublime perché bella oltre misura: certo anche questo, ma oltre al giudizio estetico, questa opera non finita, nella sua immensa matericità ed espressività, ci smuove dentro una emozione davvero forte che unisce nella più profonda comprensione dell’uomo e del suo dolore.
Come sempre, anche stavolta non possiamo che dire grazie a Robert Wilson per averci regalato «uno spazio dove perdersi nei propri pensieri e nelle proprie emozioni».